di Piero Pellegrino
Marsala, 13 aprile 2019
Sarebbe banale definirlo solo un “concerto”. Si, la parola è quella, ma quanto vissuto nella Cattedrale di Mazara ha per me dell’incredibile. Un passo indietro, fino allo scorso gennaio, quando la mia direttrice del coro gospel Rita Lo Grasso mi informa che c’è la possibilità di partecipare a questo evento, insieme al coro del Conservatorio “A. Scontrino” di Trapani, diretto dal Maestro Antonio Giovanni Bono. Non ci penso due volte e pur se con un’agenda-hobby strapiena, fra le prove gospel e quelle del musical “Jesus Christ Superstar” accetto, senza riflettere. Amo troppo la musica, amo troppo la vita, le cose belle, lo stare insieme, il palcoscenico, la condivisione dei piaceri e il confrontarsi nell’arte. Comincio a studiare, da solo, gli spartiti: non sono uno studente e non posso frequentare le lezioni, ma la volontà è tanta e con qualche sacrificio tento di fare del mio hobby un mantra quotidiano. È molto impegnativo, ma ho dato la mia disponibilità, ce la devo fare, al meglio delle mie capacità, che – obiettivamente – hanno dei limiti tecnici. Giorno dopo giorno la musicalità sacra dei brani e la mia parte di basso primo entrano nelle mie corde, nella mia anima, fino a quando non ho la possibilità, solo due giorni prima del concerto finale, di provare al conservatorio, con il coro al gran completo diretto dal Maestro Bono. È emozionante, mi sembra di essere tornato indietro di almeno trent’anni e mi ritrovo circondato da un centinaio di ragazzi poco più che ventenni che affrontano la lezione come una delle tante del loro corso di studi; per me invece è un‘occasione unica e dopo tre ore esco con una carica emotiva non indifferente, che mi frastorna di gioia e che ritroverò l’indomani, alle prove generali direttamente in Cattedrale, dove si affinano le ultime note, i fiati, le impressioni e la disposizione sul sagrato. È il gran giorno, venerdì 12 aprile, quando ci troviamo stracarichi, un paio d’ore prima dell’inizio. Ultime note da sistemare, tanta tensione: si comincia! La Cattedrale è strapiena in ogni ordine di posti: entriamo ordinatamente e ci posizioniamo, fino a quando la prima nota dell’organista, il bravissimo Vincenzo Alesi dà il LA, che in realtà è un SOL… Un plauso anche al solista Matteo Saverio Grasso, che ci ha deliziato all’organo. Mozart e Bach, ci regalano splendide “Ave Verum Corpus” e “Jesus bleibet meine Freude”, che da anni ascoltavo e che mai avrei pensato di interpretare al pari del “Signore delle cime” di De Marzi che ci porta con la mente ai meravigliosi cori alpini. Ma il nostro pezzo forte è lo ”Stabat mater” di Rheinberger, che con un infinito spartito di venti pagine mi ha messo a dura prova ma che mi ha regalato brividi e lacrime. Gli sguardi del Maestro sono severi e i movimenti sinuosi e precisi e aprono gli ingressi ai contralti e ai soprani, che con giochi di prestigio musicale si alternano ai bassi e ai tenori, regalando onde di note che mi avvolgono in un’estasi emotiva che talvolta rischia di distrarmi (beh… ammetto che per un attimo ho eseguito la parte dei tenori, ma sono stato letteralmente fulminato dallo sguardo del Maestro, che fra le cento voci ha colto questa sottile sfumatura, pur se in tono…). Ho avuto l’impressione di essere una piccola barca in pieno oceano, al centro di una tempesta: onde sinfoniche altissime si alzavano attorno a me, una volta i soprani, poi i tenori mi avvolgevano con i bassi che invadevano il mio spirito estatico, accarezzato dalla dolcezza dei contralti, che mi riportavano in alto, sulle onde. Una vera e propria tempesta di sensazioni paradisiache che non dimenticherò mai. Ho pianto, lo confesso… Abbiamo chiuso con il “Prayer” di René Clausen, un musicista contemporaneo che ha armonizzato una soave poesia di Madre Teresa di Calcutta: ne è uscito fuori un capolavoro che ha incantato tanto il pubblico, quanto noi, increduli per l’aver interpretato un brano veramente intenso, celestiale. Gli applausi, infiniti, ci hanno regalato la consapevolezza di aver eseguito al meglio delle nostre capacità quanto studiato e la soddisfazione è enorme. Usciamo, ordinati, fra il consenso del pubblico e gli occhi lucidi, fino a ritrovarci nell’atrio della Cattedrale dove ci abbracciamo con gioia ed emozione, trasmettendoci le sensazioni vissute. Grazie ragazzi, grazie di cuore, anche se sono triste, perché probabilmente non ci vedremo mai più; con qualcuno è nata una simpatia reciproca che probabilmente tramite i social si manterrà: vi auguro una carriera strepitosa! Mi avete accolto probabilmente con qualche dubbio, ma credo, spero che abbiate percepito il mio amore per il pentagramma e per quei puntini neri che diventano sinfonia, soprattutto se a dirigerci è un Maestro come Antonio Giovanni Bono, un siciliano emigrato, come tanti, nella profonda Brianza, che però ama la musica come pochi, sentendola nell’anima, riuscendo a trasmetterci la passione, la dedizione e la capacità di interpretare brani meravigliosi. Sono entrato subito sintonia con lui, abbiamo parlato, da nord a sud, per tante ore al telefono e ci siamo caricati a vicenda, sussurrandoci quelle difficoltà che viviamo reciprocamente, appianandole grazie alla fiducia e al desiderio di potercela fare, grazie alla musica, grazie al sorriso con cui accompagniamo le note di brani impegnativi ma ricchi di passione, di magia, di amore.
Piero Pellegrino